martedì 20 settembre 2016

Sperimentando la parola

A volte è successo. 
Ha parlato. 
Spontanea. Tranquilla. Felice.
Un anno esatto fa, una sera eravamo andate a casa di una delle amiche più strette di Matilde, una sua compagna di classe. Nella casa, soltanto le due bambine, l'altra mamma, e io, incinta al nono mese. Ci fu un momento della serata in cui mi ritrovai insieme alle piccole al piano superiore, mentre la mamma di Aurora stava preparando la cena nella cucina al pian terreno. 
Stavano giocando, o meglio, una mostrava i suoi giocattoli e l'altra li osservava incuriosita e al tempo stesso esitante. Indecisa se prenderli e provarli, oppure stare solo a guardarli. Mi inserisco io, come spesso faccio. Commento. Suggerisco un dialogo. Rispondo al posto suo. Sarà giusto? Meglio tacere? Ormai l'ho fatto. Spesso vado molto "di pancia". Improvviso. In base a come sento in quel momento.
Poi, a un certo punto ad Aurora scappa di andare in bagno, e io e Matilde rimaniamo nella camera da sole. Mi viene naturale coinvolgerla in un gioco "adrenalinico", che so la diverte sempre molto. Anche per metterla più a suo agio. E così mi metto in piedi con le mani unite sopra la mia testa, e lei comincia a girarmi intorno. Piano, poi sempre più forte. Corre. Ride. Ogni tanto, quando passa davanti, con una mano le punzecchio il sedere. Risate. Urletti. 
"Dai, mamma! Non farmi così!" Altre risate.
"Cosa state facendo?" Arriva l'amichetta.
"Stiamo facendo che io sono il palo birichino, che vi morde il sederino!"
"Aaahhhh!" 
E via insieme a corrermi intorno. 
"Mamma, ancora! Dai metti le mani su!"
"Sì, ancora!"
Il clima è sereno, disteso, rilassato. E anche io lo sono, mi diverto. In quel momento, non sono la mamma, l'adulto, l'autorità. Sono una tata, una complice, una loro compagna di gioco. Sono al loro livello. E ridiamo insieme. 
Era già capitato che dicesse qualche parola a scuola, unicamente rivolta ad Aurora o all'altra amica a lei più vicina. Ne ho prova dalle testimonianze della maestra, che mi riporta gli "avvistamenti" uditivi della voce di Matilde, da parte dei compagni di asilo. 
Mi aspettavo dunque che avvenisse uno scambio verbale tutto sommato "easy" con la sua amica. Come in classe. Stavolta, però, eravamo in un ambiente diverso, sconosciuto, le mura di una nuova casa. E infatti, il suo eloquio si verificò soltanto nel frangente descritto. Manco a dirlo, la parola di Matilde tornò ad interrompersi appena scendemmo per la cena al piano di sotto. 
Ma va bene così.
Un altro episodio del genere, che mi ha scatenato un moto interiore di gioia e soddisfazione, diligentemente dissimulato, è successo pochi mesi fa. 
Attorno al tavolo della cucina, nella casa dei miei genitori, io con le mie figlie e mia zia. Altra figura che ad un certo punto, non so perché, è "saltata" nell'altro gruppo, quello delle persone con cui Matilde non è disposta a parlare. Stavo tranquillamente raccontando alla zia, che semplicemente ascoltava, la nostra serata precedente. 
"C'erano poche persone, ieri sera, al chiosco. Dopo il gelato, siamo andate nel giardino lì accanto, dove ci sono le giostrine per i bimbi. Matilde è voluta andare su una delle due altalene..."
"Quella dei piccoli!" mi interrompe lei, completando la frase.  
"Esatto, Matilde, quella dei piccoli. E poi abbiamo fatto altri giri su quell'altra..." Eccetera.
Vado avanti a raccontare, ma l'ho colto, nei suoi occhi. 
Appena ha pronunciato con naturalezza quelle tre parole, a voce ben udibile e chiara, si è materializzato sul suo volto uno sguardo preoccupato, che riproduce l'equivalente di: oh caspita, mi è scappato, l'ho detto, e lì c'è la zia, l'ha sentito, adesso che succede.
Nulla succede, hai visto? 
Allora mi sono chiesta: cos'è che le ha sciolto, in quel momento, l'ansia, la paura? E' stato soltanto casuale? Oppure ha contribuito il mio atteggiamento? 
Forse non fa statistica, ma mi sono accorta, da questi sporadici episodi, che più io sono spensierata e rilassata, più favorisco le condizioni per il suo sblocco. Per il suo "scongelamento". 
Gli stati d'animo si trasmettono, sono contagiosi. Questo lo so. 
E allora viva la spensieratezza!
E viva soprattutto la possibilità, per i bambini selettivamente muti, di sperimentare la parola in contesti rilassati.
A questo proposito, segnalo una bellissima esperienza realizzata dall'Associazione A.I.MU.SE., in collaborazione con la rete di Medici in Famiglia. Per la prima volta in Italia - e forse in Europa - nell'agosto 2015. 
La "vacanzina": un intervento intensivo di terapia residenziale, o meglio, "una tre giorni" trascorsa da bambini con mutismo selettivo, insieme ai loro genitori e a vari operatori, esperti, specialisti e professionisti, ospitati tutti sul lago d'Orta, nella villa messa a disposizione dalla fondazione partner del progetto. Presentato durante un convegno a Milano nell'aprile scorso, dove gli organizzatori espongono gli emozionanti risultati positivi. Nella condivisione di uno spazio comune, nel vivere la quotidianità a contatto con persone sconosciute, ma accomunate da una stessa condizione, da uno stesso stato emotivo, dalle stesse paure e speranze, si è vissuta l'esperienza di uno scambio graduale, protetto, rilassato.
Ecco, a volte ci vorrebbe proprio. Un luogo e un tempo - e un contorno di confortante e positiva umanità - per allontanare un po' tutte le insicurezze, tutti i disagi, tutte le ansie e le paure. 
Un posto dove essere sé stessi. 
E poter sperimentare, in mezzo agli altri, la propria libertà.
Anche di parlare.



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