lunedì 7 novembre 2016

Una fiaba coinvolgente

Troviamo delle storie, delle favole per bambini, che parlino di voci e di silenzi, da leggere in classe, per coinvolgere Matilde e vedere come reagisce a questo tipo di stimolo sull'argomento. Cosa elabora, quali corde interiori le va a toccare. 
L'idea è della nostra amata maestra d'asilo, che sta prendendo a cuore in modo estremamente apprezzabile la difficoltà di mia figlia. 
Piena di gratitudine e di curiosità, cerco e mi informo.
Sul gruppo Facebook di AIMuSe, mi viene segnalato un testo: Acqua Dolce, di Andrea Bouchard. Consigliato però dai sette anni in su.
Va bene - dice la nostra maestra - proviamo a vedere, lo adatterò io.
Incomincio a leggere.

E' la storia di una bambina speciale, nata cadendo nel mare, nell'acqua di un'isola a forma di mezzaluna, l'Isola Verde, che si diceva fosse incantata, misteriosa, maledetta.
La bambina venne chiamata Acqua Dolce, perché le acque che circondavano l'isola erano stranamente dolci, prima di diventare, là più al largo, acque salate dove vivevano terribili squali.
Il padre le mise al collo un ciondolo portafortuna, una conchiglia a forma di mezzaluna, legata a una catenina: un simbolo per rappresentare il miracolo della sua nascita.
La bambina visse coi genitori per ventinove giorni nella splendida isola, con un gruppo di scimmie affezionate ad accudirla come baby sitter, un gabbiano e due delfini.
Poichè si narrava che chi rimaneva oltre un mese sull'isola veniva colpito dalla maledizione e non poteva più fare ritorno, la famiglia fuggì a bordo di una zattera. Durante la loro fuga, uno degli squali li attaccò e stava quasi per ingoiare la bambina, ma venne soffocato proprio dal ciondolo a forma di mezzaluna e dalla catenina che gli rimase impigliata tra i denti.
La bambina divenne triste dopo l'abbandono dell'isola e, una volta tornati ad abitare in città, si calmava solo a contatto con l'acqua. La mamma, per placare i suoi strilli disperati, era arrivata anche a costruirle un passeggiacqua, un passeggino che al posto della culla aveva una vaschetta piena d'acqua.
Poi, crescendo, Acqua Dolce si abituò a vivere come una bambina normale. O quasi. Sì perché da quando era nata, e fino ad allora, non aveva mai detto una sola parola. In compenso, nuotava coi delfini, dormiva con le tartarughe, e faceva altre cose strane e strabilianti.
I genitori, preoccupati del fatto che non parlasse, la portarono dai dottori, che però non riuscivano a trovare spiegazioni. Un dottore disse: "Sembra non parli perché non ne ha voglia". Il padre, infastidito, lo insultò, allora il dottore disse che aveva capito: "La bimba non parla perché non vuole diventare maleducata come voi genitori!"
Il padre cadde in depressione, non si capacitava del fatto che la figlia non parlasse. La madre, invece, diceva che non importava se era silenziosa, la sua piccola era stupenda, sapeva fare tante cose, le voleva bene così. La bambina, del resto, non sembrava affatto esserne preoccupata, era sempre allegra e sapeva fare tante cose, anche molto difficili.
Il primo giorno di scuola, alle elementari, Acqua era felice di poter conoscere nuovi compagni. La madre era invece nervosa, si raccomandava che si comportasse bene.
La maestra, quando all'appello arrivò il turno di Acqua Dolce, disse: "Attenzione, lei si chiama Acqua, non sa parlare, siate buoni con lei e aiutatela". I compagni invece la presero in giro, per il suo nome insolito. La maestra la credeva sorda o stupida, così le ripeteva più volte le cose perché pensava che la bambina non capisse. La imboccava, persino, e Acqua si sentiva in imbarazzo, ma non diceva nulla, perché non voleva deludere la madre che si era tanto raccomandata di ubbidire alla maestra.
Acqua però si stufò: un giorno chiamò il suo amico gabbiano che, volando come sempre sulla sua spalla, cominciò a fare un gran baccano per tutta la classe. Un'altra volta, Acqua, che stava insegnando ai suoi compagni le cose più strane, si mise a far gareggiare le lucertole e una scappò sulla cattedra della maestra, che si spaventò e si arrabbiò molto.
E così Acqua fu sospesa per tre giorni.
Ma quando tornò a scuola, ne combinò una ancora più grossa: lasciò aperti tutti i rubinetti dei bagni e allagò l'intera palestra.
La madre la mise in punizione: niente più zoo né acquario, dove la bambina andava sempre. Acqua divenne una bambina triste. "Devi diventare una bambina normale" le disse la madre, e la portò in una scuola diversa, anche perché là il direttore non la voleva più vedere.
La madre, nel periodo in cui Acqua rimase a casa da scuola, le insegnò a scrivere. Ma tutti i giorni la bambina correva in camera sua a piangere. Anche il padre era diventato triste, e muto come lei.
Acqua, visto che aveva imparato a scrivere, un giorno scrisse alla madre un biglietto: "Mamma, adesso sono cambiata, voglio essere una bambina normale, ti prego fammi tornare a scuola, ti voglio bene, non voglio deluderti più".
Tornò così a scuola, era brava in tutte le materie, ma non sorrideva più, e non giocava più con gli altri bambini.
I suoi compagni erano affascinati dalle sue straordinarie capacità di fare capriole, salti mortali, camminare sulle mani, e molte altre cose. Ma lei stava sempre sulle sue. Tra le sue compagne ce n'era una più tranquilla delle altre, e affascinata dal suo silenzio: Arianna, che divenne subito molto amica di Acqua Dolce.
Al suo decimo compleanno, la madre, pur di non vederla sempre così triste, volle far fare a sua figlia la cosa che più desiderava.
Acqua decise di andare al mare da sola.
Lì, sulla spiaggia, avvenne l'incontro magico della storia di Acqua, l'incontro con il Capitan Seppia, un vecchio marinaio che portava una folta barba bianca e sul petto un curioso ciondolo, una conchiglia proprio a forma di mezzaluna. Dopo averle chiesto il suo nome, e dopo che Acqua glielo scrisse su un biglietto, il marinaio disse: "Io lo so perché non parli. Tu sei un pesce fuor d'acqua. Trova il tuo mare e potrai parlare".
Acqua era confusa, spaventata, ma attratta da quel ciondolo, ed emozionata alle parole che aveva detto il vecchio: avrebbe davvero potuto aiutarla a parlare? Le batteva forte il cuore.
Il Capitan Seppia, dopo aver raccontato ad Acqua della terribile avventura sull'Isola Verde e di come riuscì a salvarsi dagli squali che avevano invece divorato i suoi compagni, chiese alla bambina, estremamente incuriosita dal suo ciondolo, se voleva prenderlo per guardarlo meglio da vicino. Acqua lo indossò, e quando si mise la conchiglia al collo disse: "E' BELLISSIMA".
Aveva pronunciato per la prima volta quelle due semplici parole come se avesse da sempre parlato. Ma subito se lo tolse e scappò via.
Tornata a scuola, Acqua Dolce progettava in quei giorni la fuga all'Isola Verde, di nascosto da tutti, genitori e maestra. I compagni accettarono volentieri di accompagnarla in quell'avventura verso l'Isola, perché le volevano bene e volevano aiutarla.
Il viaggio fu rocambolesco, ma alla fine ci riuscirono: arrivarono sulle spiagge dell'Isola Verde. Appena Acqua l'avvistò, dalla barca su cui stavano viaggiando, gridò con tutta la voce che aveva in gola: "Acquaaaaaa!!!"
La missione era cercare la sua conchiglia, ma nei giorni che rimasero sull'isola, la bambina e i suoi compagni si divertivano così tanto che se ne dimenticarono. Acqua era così contenta di poter parlare che lo faceva con tutto e tutti, sicura che la capissero.
Trascorsero diverse giornate, ma il compagno che si era incaricato di tenerne il conto si dimenticò di continuare a farlo, e ormai non sapevano più da quanti giorni erano lì. Provarono allora a tornare indietro, ma furono attaccati dai terribili squali.
Magicamente, comparve il Capitan Seppia, che riuscì a salvarli tutti. Il capitano regalò ad Acqua il suo ciondolo.
I genitori di Acqua erano al colmo della gioia nel sentirla parlare. Capirono quanto l'isola era importante per lei e le promisero di ritornarci.
Acqua era diventata molto amica di Arianna, con cui giocava e scherzava allegramente. Adesso non aveva più paura che la prendessero in giro, perché sull'isola si era sentita finalmente capita e amata da tutti i compagni.
Tornata in città, Acqua parlava proprio con tutti quanti. Talmente tanto che a volte la gola le bruciava, allora la madre le toglieva per qualche giorno il ciondolo e lei si godeva il silenzio. Aveva poi cominciato a farlo anche lei: le piaceva togliersi il ciondolo per un po', perché così sentiva meglio i profumi, i colori, il vento.
Fece anche un gioco con l'amica Arianna. Preparò un ciondolo uguale al suo, e le disse: "Me lo ha dato il Capitan Seppia. Se lo porti stando in silenzio, senza parlare, potrai imparare a farti capire dagli animali come faccio io. Ma attenta, perché se parlerai, se dirai anche solo una parola, rimarrai muta per sempre. Sei abbastanza coraggiosa da provare?" Arianna stava al gioco, e vedeva che funzionava: i gabbiani si avvicinavano a loro due, sedute silenziosamente sul molo. Pensò che il ciondolo fosse davvero magico.
Giocavano e si divertivano, e divennero sempre più amiche, legate da questo identico portafortuna.
Acqua, Arianna, Marco e Luca avevano formato un gruppetto stabile di amici, tutti quanti col ciondolo appeso al collo, divertendosi a fare il gioco del silenzio.
Acqua era felice e si sentiva davvero amica di tutti i suoi compagni. Ma era un po' scontenta, le mancava l'isola.
Ogni tanto, andava a trovare il Capitan Seppia, e rimaneva sulla sua barca anche a dormire. Le piaceva dormire lì, con le onde a cullare il suo sonno.
Acqua sognava di vivere su una barca e quando il marinaio Brezza, amico del capitano, cogliendo esattamente il suo desiderio, le propose di darle in regalo la sua vecchia imbarcazione, la ragazza accettò entusiasta.
E Acqua riuscì a rimetterla a nuovo: raccolse i soldi necessari al restauro della barca, organizzando spettacoli coi delfini, dove era lei stessa a ripetere quello che gli animali le mostravano di fare. Erano spettacoli all'incontrario.
La barca venne terminata che lei aveva quindici anni, e la chiamarono Arcobaleno.
La storia termina con un dolce sentimento d'amore: quello che sentono nascere dentro di loro Acqua Dolce e il figlio del marinaio Brezza.

E' un racconto articolato, sicuramente ricco di spunti per suggerire riflessioni e pensieri.
La nostra maestra ha anche pensato di poter cogliere alcuni elementi della storia, per proporre piccoli laboratori da realizzare in classe coi bambini. Ad esempio, creare il ciondolo portafortuna con laccetti e conchiglie.
E dato che il libro, di oltre cento pagine, ha purtroppo pochissime illustrazioni, la nostra maestra ha persino cercato e stampato le immagini di tutti i personaggi e gli scenari della storia.
Sono davvero curiosa di vedere cosa scaturirà dalla lettura collettiva di questo libro...


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