domenica 4 dicembre 2016

Chiedimi cosa mi piace

"Oggi ho fatto io l'appello a scuola".
"Davvero, Matilde? E come hai fatto? Chiamavi i bambini? Parlavi?"
"No, facevo così!" 
Mostra il gesto. 
Poi aggiunge: "Sai che ho iniziato a parlare all'orecchio con Amira?"
"Davvero? Brava! E ti piace?"
"Sì!"
Matilde l'ha detto orgogliosa, come a sottolineare la soddisfazione di un successo personale.
E l'ha ripetuto anche ai nonni, qualche giorno dopo. Li ha voluti informare della sua piccola grande conquista
Sì, me lo ha confermato anche la maestra. E' stato dopo che lei è venuta a trovarci a casa nostra, un pomeriggio dopo la scuola. La mattina seguente Matilde in classe era più sciolta, ed era tutto un parlare all'orecchio di Amira ed Emma. 
Sono convinta che abbia avuto un effetto positivo, la visita della maestra. Insieme allo scambio di messaggi vocali con la sua amica del cuore. 
Ce n'è uno in particolare, dove Amira esprime tutta la sua autentica incredula felicità. In risposta al primo saluto telefonico di Matilde, l'amica scoppia in un: "Ma sei stata brava, Mati! Io ti... io... io... sono felicissima con te! Brava! Ti voglio tanto tanto bene."
E aggiunge: "Mati, mi devi fare poi una promessa: che mi fai sentire la tua voce."
Un'amica che crede in te, a cui ti puoi affidare, che si emoziona con te, è una cosa bellissima. E' tutto.
Questo legame può esserle davvero d'aiuto. Chissà. Me lo auguro. 
Ecco, vedi. L'ho augurato a me. Invece no. Glielo auguro. 

Siamo stati al secondo colloquio con la psicologa che ha iniziato a seguirci. 
Le abbiamo raccontato di com'era andata dopo il precedente incontro, delle risposte di Matilde all'esercizio sulle emozioni, di come si possa anche andare all'estremo nell'immaginare le conseguenze di quello che potrebbe succedere quando parlerà. 
Sarà interessante vedere anche un altro aspetto: come reagisce quando le cose non vanno come si immagina lei. Lei con il suo doversi sempre sentire autorizzata a. 
Per dire. Si alzava per prendere il pane, dopo che la maestra aveva interpretato il suo desiderio di averne un altro pezzo. Arrivava fino al cesto, si fermava. Immobile, non allungava la mano per prenderne uno, no. Solo quando la maestra faceva un cenno per spronarla, lei ne prendeva finalmente uno. 
Quale altro bambino aspetterebbe, invece di accaparrarsene subito tre o quattro pezzi? Quale altro bambino riuscirebbe ad auto-contenersi in questo modo?
L' auto-disciplina di Matilde è una caratteristica stra-ordinaria. Fuori dal comune. 
La psicologa ci ha poi dato un altro libro, da leggere insieme a nostra figlia. 
Titolo: Chiedimi cosa mi piace.
Spesso infatti ci dimentichiamo di farlo, non lo chiediamo. 
Troppo impegnati a proporre cose da fare, anziché ascoltare le preferenze dei nostri piccoli. 
Dare spazio ai loro pensieri, alle loro idee.
Lasciarli esprimere.
L'esercizio, stavolta, era quello di provare poi a chiedere a Matilde cosa piace, e cosa pensa che piaccia alle sue amiche. 
Così, a casa, dopo averlo letto, glielo domando. Lei risponde: a me piacciono gatti e pappagalli. E ad Amira? Non lo so, mi dice. Allora colgo l'occasione per suggerirle di provare a chiederlo, ad Amira, cosa le piace. Poi domando: e Amira sa che a te piacciono gatti e pappagalli? No, mi fa. Di nuovo propongo: allora prova a dirglielo, così potete giocare con le cose che vi piacciono, oppure scambiarvi i giochi e divertirvi insieme.
Domani racconteremo alla psicologa di com'è andata questa seconda lettura.

E racconterò anche di un piccolo confronto faticoso.
Quello che ha riguardato l'intromissione piuttosto fuori luogo da parte della bidella, proprio il giorno in cui la maestra mi riferiva del passo avanti di Matilde nel parlare all'orecchio alle amiche. 
Quel giorno andai a prenderla all'uscita e, mentre le infilavo il giubbotto per uscire, la bidella si avvicinò a noi due come mai aveva fatto prima ed esclamò: "Ma tua figlia è proprio furba! Io lo so che parla, me l'ha fatto sentire la maestra!"
E io, cercando di deglutire il disagio provocato da quella domanda sbagliata e inopportuna, risposi, davanti a mia figlia: "Ma non è furba. E' che vorrebbe ma ancora non riesce qui a far uscire le parole. Più avanti, quando se la sentirà, lo farà anche a scuola. Vero, Mati?"
Cosa vuoi rispondere con tua figlia lì accanto? Spero di aver usato le parole giuste, o le meno sbagliate. Però che fatica dover ripetere e spiegare e giustificare! 
E' una fatica emotiva. Un equilibrismoUn elefante che prova a muoversi evitando di urtare le porcellane. 
Qualcuno, sul gruppo Facebook di A.I.Mu.Se., una volta fece notare come molti, quando trattano di mutismo selettivo, si concentrino sulla parola mutismo, quando invece il concetto fondamentale è quello della selettività.
E' quella, la chiave di lettura. 
Si crede di poter riuscire a sbloccare i bambini muto selettivi raccomandandosi con loro di comportarsi nella maniera attesa, senza però considerare che loro non cominceranno certo a parlare perché siamo noi a pregarli di farlo. 
Lo faranno quando si creerà quella situazione di rilassatezza, di naturalezza - perché parlare è una cosa naturale - in cui saranno talmente a loro agio che verrà da sé, senza richieste, senza preghiere, senza raccomandazioni. 
Sposteranno finalmente l'attenzione da questa etichetta ingombrante, quella di "bambini che non parlano". Che è quello che in genere gli altri si preoccupano di sottolineare e di far continuamente notare. 
Perché la selettività, infatti, non è riferita alle persone. Non sono questi bambini a decidere con chi parlare e con chi no. 
La selettività è riferita alla situazione
E' il contesto ad attivare o meno il blocco. Prova ne è il fatto che anche con me a volte il canale verbale si interrompe, quando si sente maggiormente agitata o a disagio in una particolare situazione comunicativa.
Se si cominciasse a capire questo, sarebbe già un buon lavoro fatto.






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