venerdì 20 gennaio 2017

Paura di sbagliare

"Credo che sia proprio quello, il suo vero punto debole" ci dice la psicologa. "Il fatto di non concedersi mai la possibilità di sbagliare". 
Non tanto il suo silenzio con gli altri, quindi, quanto il difendersi dall'eventualità di un errore.
Torniamo sempre . L'auto-disciplina di Matilde. 
Il suo perfezionismo.
E infatti, chiudersi nel silenzio durante le ore a scuola, oppure con persone diverse da quelle con cui parla abitualmente, sembra di fatto un meccanismo di difesa per mantenere un controllo sulla paura di sbagliare. 
Su quell' agitazione, come una volta mi disse lei stessa. 
Probabilmente, mia figlia considera le possibili conseguenze delle sue azioni in un modo distorto. Immagina che succeda qualcosa di irreparabile, forse, qualcosa di catastrofico. E soprattutto non accetta che non sia come voleva lei
Si arrabbia quando un Lego non si incastra nel modo in cui voleva metterlo lei, si infastidisce quando sul disegno fa una sbavatura fuori dal contorno, piange lacrime di delusione quando non interpretiamo subito un suo desiderio (voglio guardare un altro cartone animato, voglio giocare col papà, non voglio che la sorellina prenda i miei giochi, quelli con cui adesso sto giocando). 
Ovviamente, la paura di sbagliare è anche mia
Come genitore, intendo. 
E forse è proprio la paura di sbagliare a farmi sbagliare!
Domande me ne sono poste, tante: e se fossi io a trasmetterle questo senso di catastrofismo? Questa intolleranza verso l'imperfezione? Oddio, a me non sembra... vuoi vedere che involontariamente sono stata io? 
Ecco il solito senso di colpa. 
Poi mi analizzo e penso che no: se sbaglio e me ne accorgo, glielo faccio notare, e ne rido insieme a Matilde. Se dico una cosa al posto di un'altra, se metto in forno il latte e in frigo i biscotti, se mi confondo coi nomi o con gli oggetti, dico: "Vedi, Matilde, che mamma sbadata! Ho sbagliato anche stavolta!" E ride divertita come me. 
Tornando alla psicologa, devo dire che è rimasta piacevolmente sorpresa, tanto quanto me, al racconto di quel nuovo progresso di Matilde, nel pronunciare parole davanti agli altri. 
Quel parlare in una lingua strana, il gneggnè, o gneggnese. Dice, la psicologa, che è una tecnica applicata proprio nella terapia. Si fanno vocalizzi, o imitazioni dei versi animaleschi, per cominciare a familiarizzare col suono della propria voce in presenza di altre persone. 
"Vostra figlia trova davvero delle strategie meravigliose! Da notare, però, che si tratta sempre di un modo per non rischiare: posso abbassare il mio livello d'ansia, perché di fatto sto comunicando e rompendo il mio silenzio, ma quella voce non è la mia, la sto mimando. In questo modo, io resto al sicuro".
Ed è così: un modo di entrare in comunicazione non pericoloso, sopportabile. 
Un compromesso. 
Piano, piano, piccoli passi. I piedi nell'acqua.
Io credo in lei.
Noi, crediamo in lei.
Prossimo incontro sarà l'osservazione a casa da parte della psicologa. 
Diremo a Matilde che verrà a trovarci una maestra, che insegna a bambini di un altra città qui vicino, e che abbiamo conosciuto qui e là, eccetera. Viene a trovare noi genitori, non lei. Noi svolgeremo le nostre normali attività quotidiane, la psicologa interagirà con un genitore alla volta, per lasciare l'altro insieme alle bambine e vedere come si svolgerà la comunicazione. Magari proverà a darci qualche piccola indicazione per guidare l'osservazione, ma sarà una cosa breve e tranquilla. 
Sono molto curiosa, e non vedo l'ora anche di poter svelare un progetto che ha a che fare con la comunicazione, e che più avanti spero riusciremo a realizzare... Sorpresa...!



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